Resistenza non tanto ai farmaci, ma all’enorme magma di puttanate che ci buttano addosso ogni giorno – Simone Sandretti
Nella prima parte del post dedicato al Tour di Amazon a Piacenza ho raccontato la visita al centro logistico fino alla pick tower, il magazzino dove i prodotti vengono stoccati. Da lì passiamo alla zona che la guida chiama inbound, dove la merce arriva dai vari fornitori per essere catalogata. E qui mi torna di nuovo prepotente l’immagine della fabbrica in cui ho lavorato al tempo dell’università: file di postazioni lungo un nastro scorrevole e per ciascuna una sirena con tre luci (verde, gialla e rossa), vari pulsanti per il controllo dei comandi, un operatore che alza appena gli occhi al nostro passaggio. Sul nastro passano pacchi anonimi di piccole e medie dimensioni che andranno controllati e stoccati uno per uno.
Risaliamo il nastro e arriviamo al fondo del capannone, dove i bancali di prodotti appena scaricati dai furgoni si accumulano uno sull’altro come vettovaglie di un esercito in guerra. Facciamo spazio a un gruppo di nuove leve: saranno almeno venti persone, di cui forse solo quattro o cinque italiane. Tutti gli altri sono neri, arabi, sudamericani, donne e uomini di ogni età e provenienza. Tra di loro c’è chi tenta di mostrarsi entusiasta e chi, all’opposto, quasi si vergogna di essere vivo. Li guardiamo allontanarsi e passiamo al piano di sopra, dove il ciclo logistico dei prodotti continua.
“Ci troviamo nell’area outbound: qui i prodotti in arrivo dalla pick tower vengono organizzati per la spedizione. Se un cliente ha effettuato un ordine multiplo la scatola sarà più grande, in ogni caso l’operatore sa già in anticipo quale formato scegliere, sarebbe una perdita di tempo andare a tentativi”. Intorno a noi le persone non si fermano un secondo, a quanto pare anche oggi è giorno di vendite grasse, alla gente piace spendere e Amazon offre loro ogni genere di mercanzia. La mente non corre nemmeno più ai negozi tradizionali, ma ai tanti piccoli e medi ecommerce con i quali ho collaborato in passato a vario titolo come professionista del web.
Come possono competere con Amazon? Che speranze hanno di reggere una concorrenza così spietata? E quanti posti di lavoro si creerebbero se a vendere gli stessi prodotti fossero normali commercianti con una normale bottega? Domande inutili: siamo nell’era della tecnologia, del mercato globale, della massima competitività. Se il tuo ecommerce non è all’altezza, puoi sempre vendere su Amazon a “39€ al mese + commissioni per articolo venduto”. Pesce grande mangia pesce piccolo. Il tour finisce nei pressi di un balcone da cui si vede il nastro che smista i pacchi pronti per la spedizione nei contenitori associati a ciascun corriere. “Amazon lavora con tutti i corrieri sulla piazza, così non abbiamo problemi”.
EN AMAZONIE. UN INFILTRATO NEL MIGLIORE DEI MONDI DI JEAN MALET
La mia esigenza di partecipare al Tour di Amazon non nasceva per caso. Ho deciso di verificare con i miei occhi la realtà dei fatti dopo aver visto l’intervista al giovane reporter Jean-Baptiste Malet (classe ’87), autore di un libro inchiesta dal titolo sarcastico: En Amazonie. Un infiltrato nel “migliore dei mondi”. Il giornalista francesce si è fatto assumere due settimane nel magazzino di Montélimar (Drôme) e qui ha fatto il suo mestiere: memorizzare quanto accadeva per poi raccontarlo. Ecco l’intervista realizzata da l’Unità:
Al di là delle risposte degne di una bettola, il punto è come un argomento così vasto e importante (con implicazioni sociali, culturali, etiche, filosofiche) venga liquidato a piè pari. E va bene, potrebbe essere stato il mio approccio troppo diretto. Ho allora replicato l’esperimento su un altro blog che seguivo, stavolta di Claudia Porta, con un commento decisamente più pacato a un articolo in cui si celebra l’Amazon Prime Day.
Va da sé che un commento del genere non poteva che ottenere una risposta vaga e inconcludente. È interessante notare che entrambi gli autori dei rispettivi blog sono anche scrittori, o quantomeno autori di libri. Perché dico questo? Perché è incredibile che entrambi, per fini diversi, utilizzino lo stesso strumento, Amazon, uno strumento che a lungo andare si rivelerà controproducente per qualunque autore “fuori dal sistema”. Le prime avvisaglie sono già realtà. Scrive Marinella Zetti, giornalista italiana ed esperta di editoria digitale nell’articolo Ebook: Amazon contro tutti, tutti contro Amazon.
Lo scorso maggio Amazon ha aumentato la pressione nei confronti di Hachette usando metodi che da molti vengono giudicati decisamente scorretti: prima ha reso difficile la pre-vendita e la vendita dei libri di autori pubblicati da Hachette, poi addirittura ha fatto sparire la versione tascabile di alcuni libri o ne ha allungato i tempi di consegna. In altre parole ha cercato di disincentivare l’acquisto di tali opere da parte dei lettori. Ma non accade solo con Hachette la stessa strategia è stata adottata anche con il gruppo Bonnier che ha sede in Svezia. […] E dopo gli autori americani sono scesi in campo anche quelli tedeschi, svizzeri e austriaci. Capitanati dalla Premio Nobel Elfriede Jelinek oltre mille scrittori hanno firmato la lettera aperta a Jeff Bezos. Il contenuto è molto simile a quello dei colleghi americani, ovvero un’accusa alle strategie commerciali di Amazon.
Quello che la gente fatica a comprendere, e il motivo per cui dico che tutti noi dovremmo essere vigili e boicottare Amazon subito, è che Amazon non fa il nostro interesse, né l’interesse dei lavoratori, né tantomeno quello dei produttori e commercianti “partner”, ma solo il SUO. E se questa è una costante di qualsiasi multinazionale, non è certo da tutte forzare la legge al parossismo, distruggere la concorrenza con pratiche discutibili, e soprattutto rendere schiave le persone, creando le premesse per un ulteriore passo indietro alle condizioni lavorative dell’800.
Se per voi tutto questo ha una sua logica inevitabile a cui è inutile opporsi, se Amazon, per voi, rappresenta il simbolo dell’efficienza e va bene così, se vi sembra che boicottare Amazon sarebbe ipocrita perché allora o si boicotta tutti o nessuno (argomento ricorrente in tantissimi commenti di parecchi articoli letti in proposito), io sono contento lo stesso perché so di non essere rimasto zitto a guardare. Per quanto mi riguarda, prima ancora di diventare padre, mi sono sempre ripromesso di lasciare (o almeno tentare di lasciare) un mondo migliore a chi prenderà il mio posto, rimediando ai troppi errori dei nostri genitori. E in questo mondo non posso certo sognare il monopolio di Amazon.
In rete esistono molti articoli validi scritti da blogger e portali di informazione italiani. Ve ne riporto alcuni che ho letto e apprezzato:
- Perché non comprerò più su Amazon
- Il boicottaggio di Amazon trova nuove adesioni
- La metodica schizofrenia di Amazon. Discutendo con un lavoratore del centro logistico di Castel San Giovanni
- Jeff Bezos vince il titolo di «peggior capo al mondo». Da Amazon a Samsung, ecco i boss meno graditi
UNO SQUALLIDO EPILOGO
Dopo aver segnalato all’autore delle volgarità di cui sopra (Wandering Wil) l’articolo in questione sul tour di Amazon – illudendomi che ci fosse possibilità di dialogo – sono stato addirittura bannato dal sito con ulteriori insulti. Rispondo solo che paragonare Amazon con Twitter/Instagram/Pinterest vuol dire non aver nemmeno letto l’articolo: da una parte abbiamo un sistema ai limiti dello sfruttamento, una visione del lavoro schiavista, una multinazionale che devasta il mercato, dall’altra abbiamo aziende che in molti casi offrono condizioni più che dignitose, vedi Facebook. Cito dall’Huffington Post: “Nella sede di Facebook Europa, al civico 4 di Grand Canal Square di Dublino, il cibo è ovunque, le persone sono cortesi e simpatiche, il lavoro sembra più facile. E, tra le meraviglie che nascondono questi uffici da sogno, la domanda che viene da porsi se si ha la fortuna di visitarli è: “Ma qui si lavora davvero?” Spero solo che altri, grazie anche a questo articolo, abbiano l’apertura mentale sufficiente per cambiare le cose e smettere di acquistare su Amazon. |
Comments
1 commentoMesretail
Ago 24, 2016Complimenti… Da cliente non me ne ero mai reso conto, da venditore sì eccome!
Rob
Ago 24, 2016Apprezzo il commento e capisco le difficoltà di un ecommerce, purtroppo in giro c’è un’indifferenza che si taglia con un coltello… Nel nostro piccolo cerchiamo di fare quello che possiamo, se ognuno ci mettesse del suo sarebbe una rivoluzione. In bocca al lupo!
Francesco
Gen 30, 2017Ho letto dalla prima all’ultima parola questo interessante articolo. Confesso di essere un discreto utilizzatore di Amazon (ma non solo Amazon), non per questo non mi sono mai fatto qualche domanda sul livello etico di questa piattaforma di ecommerce, anzi. In effetti i dubbi vengono, e tanti, ma più ci si pensa, più i dubbi si espandono a macchia d’olio all’intero andazzo di questo sistema economico.
Sui metodi di Amazon c’è poco da aggiungere a quanto già scritto, ma allarghiamo un po’ il discorso, e vediamo chi si salva! Partiamo da quanto ruota attorno ad Amazon, principalmente logistica, camionisti e corrieri. Quali sono le condizioni lavorative?! Cooperative sanguisughe e sfruttatrici, lavoro a cottimo, orari e ritmi assurdi, assenza di una vita extralavorativa…
Allarghiamo il discorso, al posto di comprare su Amazon ci rechiamo in una delle catene di supermercati, siano o meno specializzati: ci illudiamo che le condizioni lavorative siano migliori? Basterebbe fare due chiacchiere con qualche commesso per smontati la teoria…
Dai supermercati potremmo ulteriormente allargare il punto di vista, andare un po’ a curiosare là dove i beni effettivamente si producono, siano prodotti materiali o servizi alla persona. Penso ci sarebbe da scrivere ulteriori enciclopedie circa le attuali condizioni lavorative e le tendenze in atto…
Per concludere…
Come detto nell’articolo, Amazon fa solo e soltanto gli affari suoi, come fanno tutti. Certo Amazon lo fa ‘in grande’, ma nella sostanza cambia poco da quello che fanno tanti altri (quasi tutti…).
Boicottare… Serve a qualcosa? Di certo non mi sentirò meglio per aver comprato al Mediaworld piuttosto che su Amazon!
Piuttosto, se c’è una cosa che davvero dovremmo boicottare è la nostra ‘fame di consumo’ (consumo di inutile e superfluo) di cui è tanto malata la nostra società. Ma qui la vedo dura, è come chiedere ad un drogato di smetterla…
Rob
Gen 31, 2017Buondì Francesco, purtroppo non posso darle ragione e anzi, devo confessarle che il suo modo di ragionare, ahimé, è tanto sbagliato quanto diffuso. Ma vediamo se riesco a convincerla: lei scrive “allarghiamo un po’ il discorso e vediamo chi si salva!”. Come a dire, “in fondo sono tutti uguali”. Sicuro? Io credo il contrario, non sono tutti uguali: un’azienda di abbigliamento come Patagonia pone estrema attenzione ai metodi di produzione dei suoi vestiti (maglioni, pantaloni, giacche, t-shirt), dal punto di vista ambientale, sociale, dei lavoratori e del futuro (mio, suo, nostro, di tutti). Il fondatore Yvon Chouinard ha scritto diversi libri tra cui uno bellissimo che ho recensito da poco (Let my people go surfing ===> https://www.inviaggioconermanno.it/recensione-let-my-people-go-surfing-yvon-chouinard/) e le consiglio di leggere. Scoprirà con piacere la filosofia imprenditoriale alla base di questa (ebbene sì) multinazionale, una filosofia agli antipodi di Amazon. Eccoci dunque, in poche righe abbiamo risolto l’argomento vestiti. Scarpe? Cerchi su Google “Ragioniamo con i piedi” e troverà un’altra bellissima realtà che non devasta il pianeta ma anzi, propone un modello di sviluppo alternativo. Non vuole comprare dai supermercati? Nemmeno noi, infatti limitiamo i nostri acquisti al minimo, la carne non la compriamo più, il pesce lo prendiamo dai pescatori a Cervia (quando abbiamo tempo, certo), verdura e frutta da un contadino vicino casa. Sa qual è la verità? Che tutto questo costa impegno, energia e a volte soldi, e in nome di una coerenza “talebana” impossibile da raggiungere (anche perché dovremmo andarcene a vivere nei boschi o in una grotta) la gente dice, vedi Francesco Wil Grandins e altri predicatori del tempo libero e di una società diversa, “allarghiamo il discorso e vediamo… vediamo”. Certo, vediamo sì, di certo Amazon non contribuisce in alcun modo, che altro dobbiamo dirci a riguardo?! Ricordo ormai 7 anni fa quando scrissi uno dei miei ultimi articoli sul magazine Greenme.it, la ricetta di un detersivo per i piatti a base di limone, aceto e sale. Le riporto il commento di un signore e la mia risposta e la lascio con un augurio: intraprendere quel percorso – difficile, lungo e pieno di soddisfazioni – che la porterà a cambiare stile di vita e dare l’esempio a chi le sta intorno. Le assicuro, non solo ne vale la pena, ma è l’unica strada possibile.
COMMENTO GREENME DI PAOLO:
Sono per il pieno rispetto dell’ambiente ma anche per non dover finire sotto un ponte a chiedere la carità… perché di queste parole? Ora le spiego. Quanto mi verrebbe a costare 1 litro di detersivo ecologico? 16 limoni + 600 grammi di sale più 400 ml di aceto = € ?Ripeto, il rispetto dell’ambiente lo voglio, ma deve esser realistico e “praticabile”. In caso contrario chiunque potrebbe vivere nel rispetto della natura. Basta comprare un’auto all’idrogeno (tanto i costi di manutenzione non saranno un problema per noi miliardari), avere una casa dotata di un impianto da 4 o 5 Kw (tanto in caso di guasto ne possiamo comprare degli altri nuovi), pannelli solari termici e chi più ne ha più ne metta. Con i soldi si può fare tutto ma spesso i costi proibitivi rendono i progetti dei semplici sogni. Consiglio di suggerire “idee” sostenibili anche economicamente parlando: la normale casalinga non sposata con Briatore non ha così tanti soldi da potersi permettere 16 limoni alla settimana per il proprio “detersivo”
RISPOSTA AL COMMENTO MIA:
Ognuno farà quello che può, in base alle proprie tasche; l’importante è fare qualcosa, non c’è bisogno di finire sotto un ponte, anche perché sarebbe un vero record se ciò accadesse a causa di qualche limone. Il conto è presto fatto: 600 gr. di sale (60 cent)400 ml. di aceto (40 cent)16 limoni bio (5/6 euro)Spesa complessiva: 6/7 euroDunque, se il costo di un detersivo ecologico classico è di 2/3 euro al litro (dipende molto dalle marche), il prezzo sarà doppio. Se un mese si compra uno e un mese si produce l’altro, a fine anno si sono spesi 18 euro in più. Difficile finire sotto un ponte. Se poi si sistemano un paio di alberelli in terrazzo, non solo si va in pari, ma si rischia pure di guadagnarci. Altro che Briatore.
Mattia
Ott 1, 2019Ciao “Ermanno”, articolo interessante. Quando fai riferimento al documentario di Jean-Baptiste intendi l’intervista dell’unità o cosa? Perché in rete non trovo nessun riferimento se non quello sul pomodoro
ROBERTO ZAMBON
Ott 2, 2019In effetti temo lo abbiano rimosso dal web… chissà come mai 🙁
Massimo
Gen 3, 2020prima di tutto ciao,
credo che quanto affermi in risposta a Francesco sia pura utopia. Pensare di smettere di consumare tutto o solo in parte i prodotti che l’industria e il commercio mondiale ci propongono, produrrebbe una catastrofe apocalittica.
Basti pensare ai soli posti di lavoro che si perderebbero. Orde di persone senza reddito impossibilitati a procurarsi il minimo indispensabile per vivere che agirebbero in modo non propriamente etico per sfamarsi.
Il fatto è che siamo in troppi e se interrompiamo la “catena” che si è attivata rischieremmo grosso. Un esempio ? Guarda solo i disagi economici , culturali, sociali che producono i migranti in arrivo in Europa……moltiplica tutto per mille ed avrai una vaga idea di quello che potrebbe succedere.
Cosa fare ?
Continuare su questa via, per scongiurare quanto sopra esposto, ma con regole diverse che salvaguardino la dignità del lavoratore, la sua retribuzione e la sua vita sociale e famigliare. Nei paesi del nord Europa già lo fanno e non va poi così male !
Le grandi industrie si stanno mettendo insieme, come già le banche, per essere più competitive, arriveremo alle “grandi corporazioni” che gestiranno le nostre vite e quelle dei ns figli e nipoti, da quello non scappi !
Resta solo da contrapporre un adeguato potere ai lavoratori che si contrappongono a mediare gli interessi dei contendenti.
Se tutti dovessimo metterci ad andare in giro in camper, cosa succederebbe ?
Dovremmo farlo alla Blade Runner……
Credimi la ruota del “progresso” e degli “amazon” non la fermi più, devi solo imparare a conviverci e trarne quello che di buono c’è ! Il resto sono solo chiacchiere idealiste. Non facciamo gli hippyes del 2000.
Cordiali saluti
Max
ROBERTO ZAMBON
Gen 16, 2020Che dire? A me l’utopia sembra la tua. La favoletta del lavoratore sfruttato fino all’ultima goccia di sudore, ma con dignità (ci mancherebbe!), è quella che ci viene propinata da industriali, politici e magnati di ogni risma e orientamento. Non ci può essere progresso finché esistono sistemi schiavisti come Amazon, e se ne stanno rendendo conto tutti, dalle librerie che chiudono agli ecommerce in sofferenza. La questione non è mettersi a girare tutti in camper per salvarci, la questione, banalmente, è smettere di sfruttarci a vicenda, esattamente ciò che accade quando entri in un supermercato, compri online su Amazon (e non solo), vai in un resort dall’altra parte del mondo in vacanza, prendi una nave da crociera. Non è “tutto sbagliato”, le cose sbagliate sono note e arcinote, smettiamola con questa teoria che dobbiamo diventare tutti eretici sovversivi hippie per fare la differenza, è molto più semplice, ma bisogna rinunciare a qualcosa, tutto qua! Imparare a conviverci? Anche no, grazie.