Che io possa avere la forza di cambiare le cose che posso cambiare, che io possa avere la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare, che io possa avere soprattutto l’intelligenza di saperle distinguere – Tommaso Moro
Il capannone di Amazon si palesa al mio sguardo mentre ancora percorro l’autostrada. Una presenza aliena, inspiegabile, come una torta di compleanno senza candeline sulla tavola sparecchiata. Rimarrà al suo posto per alcuni minuti ancora, fino a quando raggiungerò il parcheggio e spegnerò il motore di Ermanno. Come tutti, dipendenti, visitatori, personale esterno, devo ricordarmi di infilare la piazzola in retromarcia, prima di una lunga serie di regole basate su principi di razionalità, efficienza, sicurezza, risparmio.
Mi trovo a Castel San Giovanni, in provincia di Piacenza, per il tour di Amazon, in visita a quello che, per ora, è l’unico centro logistico italiano della multinazionale. Con me ci sono altre persone che aspettano di entrare. Sono per lo più uomini fra i 30 e i 50 anni in abbigliamento casual, impazienti, come recita la pagina di prenotazione del tour, di “scoprire il dietro le quinte degli acquisti su Amazon”. Ho il sospetto che molti di loro siano informatici o programmatori, abitué del più famoso ecommerce del mondo. Riconosco le facce: anch’io sono così. Pur non avendo mai comprato un solo prodotto da Amazon, acquisto e vendo online qualsiasi cosa. E sono curioso.
Alle 9:30 circa il cancelletto d’ingresso si apre. Il gruppo entra, percorre un vialetto spoglio con 3 alberelli e 3 bandiere: la bandiera italiana, la bandiera dell’Unione Europea e la bandiera di Amazon. (L’associazione stato-multinazionale passa quasi inosservata, e non potrebbe essere altrimenti vista la naturalezza con cui viene presentata). Eccoci al riparo dal sole, accolti da un cartello che recita, nero su bianco:
Fotografo il cartello. So che a breve entrerò nella zona off limits per le foto (e i telefonini, e qualsiasi altro oggetto metallico), ma finché nessuno mi dice niente ne approfitto. Veniamo ricevuti da una ragazza che si premura di spiegarci per filo e per segno cosa ci aspetta e come è organizzata la visita al centro di Amazon. Nell’immagine seguente vedete il banco di accoglienza e il momento esatto in cui la segretaria mi dice “niente foto”.
BRIEFING, FILMATO DI PRESENTAZIONE E VISITA ALLA PICK TOWER
Mentre aspetto che tutti abbiano il loro badge, osservo i metal detector. Accanto c’è un poliziotto: ogni volta che un dipendente deve uscire, il poliziotto si alza dalla sua postazione, riceve gli oggetti al di là del metal detector e li riconsegna al dipendente, di solito un ragazzo, spesso immigrato. Alcuni, dopo essere passati, camminano goffi perché si sono tolti la cintura e devono tenere su i pantaloni con la mano. Noi guardiamo, come turisti davanti a un gruppetto di aborigeni o indiani d’America nelle loro riserve. Il destino a volte è crudele.
La registrazione si prolunga, vedo una tipa smilza che traffica con l’armadietto e mi avvicino. “Ciao, posso chiederti una cosa? Come ti trovi qui? Si lavora bene?” “Eh dura è dura, dipende da dove ti mettono”. La incalzo: “Perché io lavoro in fabbrica e vorrei cambiare lavoro”. “Diciamo che in certi posti i ritmi sono decisamente insostenibili, diventi una macchina, dipende da dove ti mettono”. “Grazie”. “Di che figurati”. Ricordo quando lavoravo in fabbrica e mi chiedevo come si potesse resistere più di uno o due anni a ripetere le stesse identiche operazioni ogni giorno per 7 ore e 30 minuti. Saliamo.
Sulle scale bisogna stare a destra: chi sale da una parte, chi scende dall’altra. Ci spostiamo in una sala per le videoproiezioni e facciamo la conoscenza delle nostre guide. Sono tre uomini, tutti fra i 30 e i 50 anni. Quello che parla per primo è uno dei responsabili nella sede di Milano, l’“headquarter italiana”. Il suo lessico è farcito di termini inglesi, di uso comune e non. Per i vocaboli complessi abbiamo diritto a una rapida spiegazione, ma si dà per scontato che siamo tutti, chi più chi meno, piuttosto ferrati a riguardo. Dopo una breve introduzione si abbassano le luci e comincia il filmato.
La narrazione ripercorre le tappe della multinazionale, dalla fondazione nell’immancabile garage da parte di Jeffrey Preston Bezos – da poco dichiarato il peggior datore di lavoro al mondo – alla conquista del mercato globale. Nel finale spazio ai progetti in cantiere, su tutti le consegne con i droni aerei il giorno stesso dell’ordine. Si accendono di nuovo le luci. Il responsabile rimanda a più tardi le domande e ci invita a lasciare telefonini, fotocamere, chiavi e quant’altro nell’armadietto. “Amazon non accetta che qualcuno rubi, a volte capita e siamo costretti a procedere con i licenziamenti”. L’altra guida sospira: “Sapete, la gente crede di essere sempre più furba”.
L’idea che una multinazionale con un fatturato di 74 miliardi di dollari nel solo 2013 sia costretta a ricorrere ai metal detector e a una polizia interna parallela per tenere a bada i furti mi lascia interdetto, ma in fondo perché stupirsi? L’efficienza è trasversale e investe ogni aspetto della gestione aziendale, incluso l’aspetto umano. Quando siamo pronti, la guida ci invita a seguirlo lungo il percorso per la prima parte della visita: la “pick tower”. Un minuto più tardi, scese di nuovo le scale, ci troviamo nel deposito dei prodotti. Somiglia a una gigantesca biblioteca con la differenza che al posto dei libri (anzi, oltre ai libri) ci sono milioni di oggetti di piccola e media grandezza.
Spazzolini, giocattoli, modem, chiavette usb, zainetti, fotocamere, cellulari, detergenti, racchette da spiaggia, orologi, mouse, lampadine, peluche, DVD, piastre per capelli, telecomandi… tutto quello che vi viene in mente. Qualsiasi cosa possa interessare un consumatore italiano nel corso della sua esistenza, è catalogata senza logica apparente davanti ai nostri occhi. “In realtà”, spiega la guida, “seguiamo un principio molto semplice: riempire gli spazi vuoti. Mentre nei classici magazzini si va in ordine alfabetico o per tipologia di prodotti, qui ci limitiamo a riempire i buchi e memorizzare la posizione con i nostri device. In questo modo sfruttiamo il magazzino al 70-80%, risparmiando così spazio, e quindi costi, riuscendo a mantenere di conseguenza prezzi più concorrenziali”.
Sopra le nostre teste ci sono 4 piani, un’altra pick tower è in fase di costruzione sul lato opposto del capannone. Si sprecano domande morbose sul numero esatto di prodotti, sull’estensione in metri quadri della torre, sulla possibilità di scontrarsi o di commettere errori. “Se un prodotto cade per sbaglio, viene attivata una procedura per il recupero, siamo abbastanza previdenti”. La prima persona singolare è un segnale di identificazione che accomuna le tre guide. Noi siamo, noi facciamo, noi riteniamo… Nessuno parla (e pensa) come una persona. “Ora se volete seguirci procediamo oltre”.
Qui mi interrompo. L’argomento è troppo denso di spunti per relegarlo a un solo post per cui ho deciso di suddividerlo in due parti. Nella seconda parte vi racconterò il resto del tour di Amazon, alla scoperta della logistica e dello smistamento, ma soprattutto alla ricerca di un senso a questa esperienza dai contorni inquietanti. Non perdetevelo.